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Originale proprietà della famiglia Di Giovanni nel territorio di Marausa (Trapani) |
PER CHIARA ANITA E SIMONE
Chissà se un giorno, i miei nipoti Chiara,
Anita e Simone, avranno la curiosità di sapere qualcosa in più, sulla
provenienza della famiglia del loro nonno materno.
Adesso, aiutato da una ricerca araldica fatta alcuni anni fa e con quello
che è rimasto nella mia memoria, voglio provare a soddisfare la loro eventuale
curiosità.
Dalla Spagna, esattamente dalla città di
Valencia, i discendenti del capo-stipite Giovanni Centelles, di nobile
famiglia, si diramarono in Francia, nelle isole Baleari, a Padova, Venezia, Napoli, e poi in Sicilia
portati da re Pietro III D’Aragona negli anni del suo regno (1337-1342)
I
discendenti di questo Giovanni furono detti
DI GIOVANNI e allora comincia la storia della mia famiglia, che dal 1337
al 1650 circa, ebbe diversi personaggi importanti nella società siciliana, un
Palamede (1373), un Ugo (1472), un Enrico (1462) ( e un Emerigo (1477), furono
Cavalieri di Malta, un Francesco fu senatore di Palermo negli anni 1559,
1564,1569,1579, un Vincenzo di Giovanni e Del Carretto fu valente nel
maneggiare la spada e la penna, fu
vincitore in molte giostre e tra gli altri lavori scrisse il “Palermo
Restaurato”,un Palmerio di Giovanni e Cottone, per la moglie Anna Maria Del
Giudice e Minatolo, fu primo barone di Solazzo (1606), fu senatore di Messina,
maestro di prova della Regia Zecca, principe dell’ordine della Stella (1635) e
maestro razionale del Regno, un Domenico di Giovanni e Giustiniani, con privilegio dato il 20 luglio 1641, ottenne il titolo di
principe di Trecastagne, possedette la terra di Viagrande, i feudi di Graziano
sollazzo, Pedara e acquistò la città di Castronovo (1639), un Gaspare fu
senatore di Palermo nel 1668/69, un Vincenzo di Giovanni e Salvarezo, cavaliere
di S. Giacomo della Spada, ottenne, con privilegio dato il 2 ottobre 1682,
esecutoriato il 29 gennaio 1685, di titolo di duca di Saponara e, per la moglie
Girolama Zappada, fu corriere maestro del regno di Sicilia,ufficio concesso in
Feudum dall’imperatore Carlo V nel 1549 a Francesco Zappada de Tassis, un
Ippolito, con privilegio dato il 6 gennaio 1688 fu corriere maggiore del regno,
consigliere di Stato dell’Imperatore Carlo VI, acquistò il principato di
Castelbianco e Montereale, per la moglie Flavia Pagano, fu principe d’Ucria,
ottenne dall’Imperatore Carlo VI concessione del titolo di principe del S.R.
Certamente da uno di questi personaggi discendeva il mio bisnonno Di
Giovanni Salvatore, nato pressappoco nell’anno 1825, nella zona di Valderice,
un paese alle pendici del monte Erice, che sovrasta la città di Trapani, dove
certamente avevano dei terreni e facevano gli agricoltori.
Ebbe 2
figli maschi (il nome della bisnonna, quasi certamente, era Caterina) Angelo, nato
nel 1858, che era poi mio nonno e Giovanni Battista, che era il maggiore.
Dopo
l’impresa dei MLLE compiuta da Garibaldi nel 1860, con l’unità d’Italia,
Vittorio Emanuele II soppresse tutte le corporazioni religiose con alcune leggi
approvate dal 1862 al 1866 e, tutti i terreni di proprietà di queste, li diede
in enfiteusi, ad affittuari o proprietari della zona. Uno di questi feudi di
proprietà del convento S. Francesco D’Assisi di Trapani, si trovava a Marausa,
una località a 10 KM
da Trapani, e un appezzamento di questa
terra fu dato al mio bisnonno con l’obbligo di costruirvi una casa con
una stalla, dove accudirvi il bestiame. Il mio bisnonno certamente si è
trasferito a Marausa e, mentre il figlio Giovanni Battista ha cercato fortuna
in America dove era andato con tutta la famiglia e, da dove è tornato alcuni
anni dopo, ricco, mio nonno Angelo si è
stabilito nella casa paterna dove si è sposato con Giacoma Pantaleo, da lei
ebbe 3 figli, Salvatore, nato attorno al 1890, Francesco, nato nel 1896 circa e
Giuseppe, mio padre, nato il 10 gennaio 1900.
Mia nonna
Giacoma è morta giovane, e il nonno si è risposato con Barraco Maria, da Lei non
ebbe figli, ma, una sua sorella di nome Francesca,(che sarebbe diventata mia
nonna materna) aveva 5 figli, Leonardo, Giuseppe,Rosa, Marietta e Vita, nata
l’11 novembre 1900, che sarebbe poi mia madre, ebbene frequentando casa di mio
nonno Angelo, Marietta ha sposato mio zio Francesco che nel frattempo era
emigrato anche Lui in America da dove e tornato per sposarsi e tornare lì dove
hanno avuto tre figli un maschio Angelo e due femmine, Francesca e Giacomina
(come vedete la tradizione in Sicilia era che al primo figlio maschio si
metteva il nome del nonno paterno, alla prima figlia femmina si metteva il nome
della nonna paterna, al secondo figlio maschio si metteva il nome del nonno
materno, alla seconda figlia femmina si metteva il nome della nonna materna,
poi se si avevano altri figli la regola era che si metteva il nome del primo
fratello del padre, della prima sorella del padre e poi ancora il primo
fratello della madre e la prima sorella della madre,un giro infernale che io
quando ho avuto le figlie che sono le vostre madri ho voluto interrompere) e,
Vita, ha sposato Giuseppe che era mio padre.
I miei genitori si sono sposati nel 1922,
si sono stabiliti nella casa di Marausa, assieme al nonno Angelo e lì, siamo
nati noi 5 figli, anzi nascevamo a Paceco, in
casa della zia Rosa, sorella della mamma, un po’ perché a Marausa che
era un piccolo paese agricolo, non c’era ne un dottore ne una farmacia ne una
levatrice, ma principalmente perché mia madre era molto attaccata a sua
sorella, anzi ne era un po’ dipendente psicologicamente, ricordo ancora quando
veniva a trovarci la zia Rosa, si chiudevano in una stanza e la zia usava i
suoi ( poteri ?) medianici per
rincuorare la sorella.
Mio
fratello maggiore Angelo è nato l’11/1/1924, poi il 15/9/1926 è nato Salvatore,
l’1/1/1932 è nata Giacomina il 7/3/1938 è nata Francesca e infine il 13
febbraio 1941 sono nato io, Francesco Di Giovanni vostro nonno.
In quegli
anni c’è stata una grande crisi economica, sfociata poi nel 1929 con un
tracollo finanziario ed una svalutazione monetaria, mio padre, anche perché
aveva in carico tutti i nonni (allora non c’erano pensioni e i genitori anziani
dovevano mantenerli i figli e gli altri figli non hanno voluto o potuto
mantenerli), mio padre dicevo aveva fatto dei debiti e già avevano venduto
parte della proprietà, aveva fatto anche un piccolo debito con suo zio Giovanni
Battista che nel frattempo era tornato dall’America con una piccola fortuna
accumulata non so come, certo dubbia, fatto sta che questo zio ha preteso subito
la restituzione della somma prestata e, siccome mio nonno in quel momento non
poteva, si è presentato a casa di mio padre e mio nonno che era già oltre gli
80 anni (è morto nel 1938) con un notaio e con poche lire si è appropriato di
tutta la tenuta di Marausa, lasciando a mio padre solo 2 stanze dove abbiamo
abitato fino alla mia partenza nel febbraio del 1961.
Mio
fratello Angelo, a 17 anni, poco prima che l’Italia dichiarasse guerra
all’Inghilterra e alla Francia, aveva fatto la domanda di arruolamento nella
Marina Militare, quando è stato il momento di partire era già scoppiata la
guerra e mia madre non voleva saperne di lasciarlo andare, mio padre per farlo
contento, di nascosto di mia madre è andato a firmare per il consenso, visto
che era ancora minorenne e questo, visto quello che successe dopo, non
gliel’aveva mai perdonato. Era imbarcato sul cacciatorpediniere Pola, è andato
per mare per oltre due anni in varie missioni senza che gli succedesse niente,
poi, nel febbraio del 1943 mentre erano attraccati al porto di Palermo, durante
una buon’uscita mentre si trovava nella città, durante un bombardamento aereo
francese, se ricordo bene, è rimasto sepolto sotto le macerie di una casa dove
si erano riparati. Adesso è sepolto lì, nel cimitero ai piedi del monte
Pellegrino che sovrasta Palermo, in una tomba di caduti in guerra.
Una
tragedia, io allora avevo 2 anni, mia madre certo ha perso il senno,
rimproverava mio padre di averlo lasciato andare e, io immagino mio padre buono
come era, (tutti dovrebbero avere un padre come l’ho avuto io) le pene che ha
sofferto, è impazzita dal dolore ed ha pianto quel figlio fino alla sua morte,
e certo da questo fatto doloroso sono venute in seguito le sedute di mia zia
Rosa, per alleviare il dolore alla mia mamma. Io posso dire che mi ha allevato
mia sorella Giacomina e mia nonna Francesca mamma di mia madre, di Lei ricordo
che diceva quando piangevo per i capricci
“non fatelo piangere, è l’unico picciriddu masculu che c’ arristau “
perché nel frattempo, quando io avevo 4 anni, mio fratello Salvatore si era
arruolato nella Guardia di Finanza e veniva in licenza una volta all’anno.
Mio
fratello Salvatore, come ho detto prima, è andato per la sua strada quando
aveva 19 anni, finanziere al confine con la Svizzera , era a Varzo in provincia di Novara come
primo servizio, una volta alla settimana mio padre andava in posta a qualche km
da Marausa, non c’era neanche la posta li e , quando tornava con una lettera i
suoi occhi erano pieni di lacrime, li vedevo io, anche se ero piccolo e allora
non capivo perché piangesse, ora lo so. Ricordo il giorno del suo fidanzamento,
mia cugina Maria di Paceco, figlia della zia Rosa, gli aveva fatto conoscere la Lina , io avevo 11 anni e
siamo andati, tutta la famiglia, a casa della fidanzata per fare le conoscenze,
allora si usava così. Da allora quando veniva in licenza non lo vedevamo quasi
più perchè andava dalla fidanzata , allora sapete cosa faceva mio padre?, un
giorno prima che arrivasse mio fratello, andava a prendere la Lina in bicicletta (sono 8 km ) e la portava a casa
nostra per qualche giorno, per questo,
per tutti noi è sempre stata ed e tutt’ora come una sorella.
Salvatore e Lina si sono sposati nel mese di dicembre 1956, sono andati
ad abitare a Caltanissetta, dove Lui
prestava servizio , ma dopo qualche mese
si sono stabiliti a Chiari dove aveva
fatto richiesta di trasferimento, ed è lì che è nata Angela la loro primogenita
il 22/11/1957, ha voluto chiamarla con il nome del fratello morto a 19 anni,
rompendo così la tradizione dei nomi ereditati dai nonni in maniera categorica.
Il 4/5/1968, dopo che mi ero sposato io, hanno avuto un’altra bambina,
Cristina, nata due mesi dopo mia figlia Marina.
Intanto
siamo nel 1961, era febbraio io mi sentivo come in gabbia in Sicilia, il lavoro
lo trovavo saltuariamente, avevo 20 anni e ancora non sapevo bene come e cosa
fare nella vita, avevo degli amici e con la moto che mi aveva regalato mio
fratello Salvatore quando da Caltanissetta si era trasferito a Chiari, ci
divertivamo ad andare in giro, ma di ragazze non se ne parlava per niente, per
avere una ragazza dovevi prima di tutto avere una posizione e dopo potevi
chiedere la mano al padre, una cosa che non avrei mai fatto o almeno fino ad
allora non c’è n’era stata una che valesse la pena che io scendessi a questi
compromessi, dal servizio militare ero stato esonerato perché “fratello di
militare morto in guerra”, erano gli anni della grande emigrazione nel nord
Italia, noi ragazzi eravamo in fermento, si parlava di partire e uno dei miei
amici aveva uno zio a Monza che faceva l’impresario edile “ non era vero, era
soltanto uno che dava gli operai alle imprese facendoli lavorare senza
documenti per lucrarci sopra”.
Partimmo
una mattina di febbraio 1961,eravamo in 6 e, dopo 40 ore di treno, arriviamo a
Milano, telefoniamo al famoso zio ma non lo troviamo, proseguiamo per Monza,
arriviamo che era già sera, non sapevamo dove andare a dormire (ci aveva
promesso anche un alloggio), ci incamminiamo nella città per trovare un
albergo, davanti erano in 4 e noi due dietro, entravano a chiedere una stanza e
tutti dicevano che erano al completo. Tornando verso la stazione i quattro
entrano anche all’Albergo Stazione, ricevendo un rifiuto anche lì, io credendo
che lì non avevano chiesto, ho lasciato fuori le valigie, entro e, sfoderando
il mio italiano senza cadenze dialettali, chiedo se c’era una stanza per due.
Tutto premuroso l’albergatore mi dice di si e ci accompagna in camera, dove
abbiamo dormito, invece gli altri 4 hanno passato la notte sulle panchine della
stazione, avevano solo il torto di essere meridionali, come me d'altronde, solo
che io mi esprimevo in italiano senza accenti particolari. Il giorno dopo il
tipo si era fatto vivo alla stazione e ci ha mandato, solo a noi due che
avevamo dormito, a lavorare nel parco di Monza, dove c’è l’autodromo, alla
costruzione di una piscina.
A Monza ho lavorato in vari cantieri edili, ma anche
lì non ero soddisfatto, leggendo gli annunci di offerte di lavoro su un
giornale, sono stato assunto come autista in una fabbrica di borsette a
Lambrate, figuriamoci, non conoscendo Milano, come facevo a fare un lavoro del
genere, dovevo portare le borse alle signore che lavoravano in casa e dopo
qualche giorno ho capito che non potevo farcela. Intanto andavo a dormire nella
casa (si fa per dire) che ci aveva dato il famoso “impresario”, questi si era
accorto che non lavoravo più per Lui e voleva mandarmi via, allora sono
ritornato a lavorare con i muratori.
Era il mese
di giugno del 1961, ricevetti un telegramma da casa, mio padre aveva avuto una
emorragia cerebrale, era in fin di vita, prendo il treno e arrivo a Trapani
nella nostra casa di Marausa, mio padre era già in coma, non so se mi ha
riconosciuto, il rimorso di averli lasciati la mamma e Lui, mi ha seguito per
tutta la vita, anche quando sono partito io ha pianto in silenzio e, come aveva
fatto per gli altri 2 miei fratelli, non si è opposto alla nostra decisione,
voleva che ci creassimo un avvenire, sapeva che lì in quel momento non poteva
esserci. E’ morto 2 giorni dopo , nonostante io fossi già lontano da casa, per
la prima volta mi sono sentito solo, senza un sostegno, appunto, senza un
padre.
E qui
torniamo a mio fratello Salvatore, Lui aveva 15 anni più di me, dico aveva
perché, nel mese di giugno del 2000, è morto stroncato da un cancro ai polmoni,
il nostro era un rapporto più da padre a figlio, che di fratelli, forse è stato
questo che lo ha spinto a chiedermi di andare ad abitare con Lui, che nel
frattempo era stato trasferito a Brescia, mi ha detto: Brescia e una gran città
ti aiuterò a trovare un lavoro, così è stato, sono andato a lavorare alla
Idropejo, vendevamo bibite e acque minerali ai bar e questo è stato il mio primo
lavoro da venditore. Pero avevo trovato anche una famiglia, perché la
Lina è stata veramente brava con me, mi ha fatto sentire a
casa mia.
Mia sorella Giacomina, da ragazzina si è presa cura
di me, quando sono nato aveva 9 anni e quando è morto mio fratello Angelo ne
aveva 11, mia madre non faceva altro che piangere e io mi sono affezionato a
mia sorella, era la mia referente, anche quando incominciavo ad andare a scuola,
era Lei che mi preparava, mia madre si occupava di più ad aiutare mio padre,
teneva gli animali da cortile , una volta alla settimana faceva il pane nel suo
forno, mentre i lavori di cucito li faceva Giacomina che
era andata anche da una sarta ad imparare, era molto bella Giacomina, ha avuto
molte proposte di matrimonio che Lei ha sempre scartato, poi, non so per mezzo
di chi, gli hanno proposto di fidanzarsi con Vincenzo, veniva da Spagnola ,
una frazione di Marsala a 15
km da Marausa, Lei ha accettato e tutta la famiglia di
Vincenzo sono venuti a casa mia per fare conoscenza, io avrò avuto 12 anni, ero
molto timido, quando veniva gente a casa mia se io ero fuori, ci restavo per
non farmi vedere, lo sono ancora adesso timido, forse questo e stato dovuto dal
fatto che la mia adolescenza l’ho trascorsa da solo, infatti finito la quinta
elementare, invidiando quei due miei compagni di scuola che hanno proseguito le
medie, che però per frequentarle dovevano andare a Trapani in treno, mio padre
mi ha mandato a lavorare da un suo zio che aveva parecchie terre da coltivare e
io ero addetto al lavoro nei campi con il mulo e l’aratro, solo io e il mulo,
dalla mattina alla sera per 3 anni di seguito , senz’altro questo ha
contribuito al mio carattere un po’ introverso.
Dopo tre
anni, mi ero dimenticato completamente come si faceva a leggere e a scrivere,
c’è voluta tutta la mia forza d’animo ad emergere, un po’ mi ha aiutato Grand
Hotel , un fotoromanzo che portava a casa
il fidanzato di Giacomina, Vincenzo, oltre ai fotoromanzi si leggevano
tante altre cose, dai romanzi all’attualità, poi avevo cambiato lavoro,
andavamo con il camion a caricare materiale per la costruzione di strade,
almeno ero in compagnia e, per fortuna in paese hanno aperto le scuole serali,
le ho fatte tutte, ho frequentato le medie, poi una scuola agraria e infine una scuola meccanica organizzata
dall’ACI che alla fine rilasciava la
patente di guida.
Vincenzo
veniva in bicicletta il mercoledì e si fermava a dormire da noi, poi partiva la
mattina dopo, veniva poi il sabato sera e partiva il lunedì mattina, io lo
ricordo perché mi toccava di dare il mio letto a Lui e io andavo a dormire con
mio padre, mentre le mie sorelle dormivano nel letto con mia madre. A parte il
russare di mio padre, la cosa non mi faceva poi tanto dispiacere, mi dava la
possibilità di leggere e poi la domenica ci portava al cinema, già, in quegli
anni in paese hanno aperto un cinema e questo è stato un grande avvenimento.
Giacomina e
Vincenzo si sono sposati nel 1955, sono
venuti tutti i parenti a casa nostra e la sposa doveva andare in chiesa in
corteo a piedi, ma mia mamma ha brontolato, allora si cominciava ad andare in
chiesa in auto, allora mio cognato è andato ad affittarne una in paese, era una
fiat Topolino, cosi la sposa con mio padre sono saliti in macchina (immaginate i
sedili dietro della Topolino), e tutti gli altri siamo andati a piedi. Io non
ero felice, me ne stavo in disparte, forse era anche perché per il pasto si era
ammazzato un agnello che un anno prima mio padre aveva comprato piccolino, lo
avevo allevato io, lo portavo a pascolare e mi seguiva con il mio cane Giulio,
si era affezionato a me e io a lui.
La loro
primogenita e nata un anno dopo, si chiama Agata e qualche anno dopo hanno
avuto il figlio maschio che si chiama Antonino. A questi due nipoti ho sempre
voluto bene, tutti gli anni quasi, si andava in Sicilia e per non fare
differenze io e la Luciana
con le nostre 2 bambine, soggiornavamo da loro dividendo i giorni fra mia
sorella Francesca e Giacomina, io mi divertivo a portare tutti i bambini in
spiaggia, senza fare differenze per nessuno, infatti quando ero da Giacomina,
prima di andare al mare passavo a prendere i bambini di Francesca e viceversa
quando eravamo da Francesca, passavo a prendere i bambini di Giacomina.
Francesca
ha 3 anni più di me, quando si è sposata Giacomina era già una signorinella,
però è sempre stata attiva, veniva sempre ad aiutare mio padre nei campi, in
quegli anni si piantava il cotone e tutta l’estate la passavamo alla raccolta
del cotone, poi c’era la vendemmia e
dopo si raccoglievano le olive. Nel 1955 in Sicilia c’è stata una riforma agraria,
i governi di allora per dare un contentino ai contadini in rivolta, hanno
espropriato dei feudi ai latifondisti, che per la maggior parte tenevano
incolti, li hanno divisi in lotti di 3 ettari e li hanno assegnati ai coltivatori
diretti che coltivavano i campi presi in affitto o in mezzadria, mio padre era
in quelle condizioni e ne aveva fatto richiesta, cosi gliene hanno assegnato un
lotto in contrada Favarotta, era distante 18 km da casa nostra, a quei tempi si adoperava
il mulo per arare il terreno e per tirare il carretto, mio padre si alzava alle
3 la mattina per andarci e tornava alla sera alle 8, io andavo ad aiutarlo
quando non lavoravo da un’altra parte e andavo in bicicletta, così potevo
alzarmi più tardi. Vi abbiamo impiantato un vigneto, per alcuni anni siamo
andati avanti così, poi io sono andato via dalla Sicilia, mio padre è morto e
il terreno, in parti uguali, lo coltivavano i miei cognati, nel frattempo si
poteva riscattare e quindi diventava di proprietà, ma poteva averlo solo un
erede maschio che faceva l’agricoltore, lo hanno assegnato a me e certamente
qualcuno ha chiuso un occhio, perché io nel frattempo ero a Brescia e facevo un
altro mestiere. Alcuni anni dopo abbiamo deciso di venderlo, era un bel
gruzzolo per quel tempo, 37 milioni di lire, ed io ho fatto 4 parti uguali
dividendolo con mio fratello e le mie sorelle. Ora proprio sopra quei 3 ettari di terra sorge
una centrale elettrica alimentata dal gasdotto che porta il metano dall’Algeria in
Sicilia .
Nel
frattempo Ciccina, (cosi chiamiamo Francesca, a me mi chiamano Ciccio) si era
fidanzata con Vincenzo Manuguerra, (anche questo cognato si chiama come il
marito di Giacomina che di cognome è Lentini) tutti e due da ragazzino mi hanno voluto bene, ricordo
che una festa di Natale dovevamo andare tutti a casa di mia sorella Giacomina,
gli altri sono andati in treno e io ho detto loro che sarei andato in
bicicletta, ma quando sono rimasto da solo, chissà cosa mi è passato per la
testa, invece di andare in bicicletta, ho preso la moto Lambretta di mio
cognato, che non avevo mai guidato (figuratevi il pericolo che ho corso) e mi
sono presentato da loro. Ebbene mio cognato è rimasto impassibile e non mi ha
detto niente, Lui è fatto così, pero da mio padre le ho sentite su davvero.
Francesca
e Vincenzo si sono sposati nel 1960, un anno dopo hanno avuto il loro
primogenito Gaspare, poi è nato Giuseppe nel 1964 e infine nel 1967 hanno avuto
Paolo.
Quando è
morto mio padre nel 1961 ed io sono ripartito per Brescia con mio fratello, mia
madre è rimasta sola, a Marausa nella nostra casa non poteva restare, Lei non
era il tipo che avrebbe potuto farcela a vivere da sola, così si è deciso che
sarebbe andata ad abitare con le mie sorelle, un mese per parte, immaginate il
suo stato d’animo, non sentirsi a casa propria, certamente si sentiva di peso,
mia sorella Francesca le aveva trovato due stanze che fiancheggiavano la sua
casa e per qualche mese è stata lì, qualche volta è venuta a Brescia con noi,
era qui nel 1962, l’anno che ho conosciuto vostra nonna Luciana, era un mese
che ci frequentavamo e i miei non la conoscevano ancora, quella domenica
eravamo a spasso, c’era un luna park dove adesso c’è la piscina di viale Piave
e all’uscita abbiamo incontrato proprio mio fratello, mia cognata con la
bambina e mia madre. Quella è stata la prima volta che mia madre ha visto
vostra nonna.
In quei
giorni mia madre non stava bene, non riusciva a digerire, l’abbiamo portata
all’Ospedale Civile di Brescia, dove hanno fatto tutti gli esami del caso e
l’anno dimessa dicendoci che non aveva niente, dopo abbiamo scoperto che
avevano sbagliato a consegnare i referti, a mia madre avevano diagnosticato un
cancro allo stomaco, ma il suo referto era andato ad un’altra, immaginate
quello che è successo all’altra persona. A mia madre poi il cancro gliel’hanno
trovato qualche mese dopo in Sicilia, quando non c’era più niente da fare, è
sopravvissuta un anno ancora tra atroci sofferenze, curata da mia sorella
Francesca. Io in quell’anno sono andato tre volte a trovarla, prendevo il treno
il giovedì sera e tornavo il lunedì mattina, l’ultima volta che l’ho vista
viva, era l’ottobre del 1968, con un filo di voce, mi disse: vai a casa figlio
mio, sapeva già di morire, così è stato, dopo 3 giorni ho ricevuto la
telefonata che era morta, quella volta ho preso l’aereo (era la prima volta),
giusto in tempo per vederla l’ultima volta. Dopo una prima sepoltura al
cimitero di Trapani, ora sia mia madre, che mio padre, riposano nel cimitero di
Paceco, nella tomba di mia nonna materna Francesca, la sua è una tomba perpetua
e sembra che, cosi come aveva fatto mio padre ad accoglierla a casa nostra
quando questa era in vita e nessuno la voleva, ora Lei ha ricambiato la
cortesia di ospitarli per l’eternità.
Io, vostro
nonno Francesco, detto Franco, e da piccolo detto Ciccio, sono nato nel 1941,
il 13 febbraio. L’Italia fascista capeggiata da Mussolini, alleandosi con la Germania di Hitler, aveva
dichiarato guerra all’Inghilterra e alla Francia, in quel periodo le nostre
truppe avevano invaso la Grecia
e contemporaneamente difendevano la
Libia , che era nostra colonia, dagli Inglesi che ce la
volevano portare via, mio fratello Angelo era in Marina ed era certamente
addetto alla scorta dei convogli navali che portavano i rifornimenti alle
truppe. Vi consiglio di leggerla la storia, Vi accorgerete anche Voi che la
guerra è una cosa stupida, fatta d’avventurieri che giocano come dei bambini,
ma giocano anche con la vita di tanti ragazzi, chiamati a difendere la Patria , ma molto spesso
mandati al massacro per i capricci di certi governanti. Io di ricordi di guerra
non ne ho, ricordo vagamente un rifugio aereo che avevano scavato davanti alla
nostra casa, il soffitto di questo sotterraneo era fatto di alberi di cipresso
messi lì con tutti i rami, fitti, in modo che sopra potevano trattenere la
terra, ricordo la scala per scendere in terra battuta, ma sono ricordi vaghi, io
potevo avere al massimo 2 anni, perché nel 1943 in Sicilia sono
sbarcati gli Americani, per fortuna sono intervenuti loro, che a loro volta
erano stati attaccati dai Giapponesi, anche loro alleati di Hitler e ci hanno
liberato dalla dittatura nazifascista. Ricordo anche una batteria di cannoni
schierati dietro la nostra casa, in un campo di proprietà di un latifondista
che forse aveva fatto mettere lì a difesa delle sue proprietà, infatti, erano
dei vecchi cannoni della prima guerra mondiale, con le ruote grandi di legno e
che certo non potevano nuocere più di tanto ad eventuali invasori, quelli li
ricordo bene, perché sono rimasti lì per molti anni dopo e noi bambini ci
andavamo a giocare sopra.
Un altro
ricordo preciso, avrò avuto 5 anni, è quando un nostro vicino è arrivato nel
piazzale del nostro “baglio” dove, all’ombra degli alberi di gelso, noi bambini
giocavamo e le donne cucivano, con un giornale, dove c’era la notizia che
avevano ucciso il bandito Giuliano, diventato famoso nel dopoguerra perché si
era dato alla latitanza, rubando ai
ricchi e qualche volta aiutando i poveri, i politici se lo fecero amico
mettendolo a capo di un partito indipendentista che avrebbe portato la Sicilia ad essere un protettorato
americano, ma forse era solo per catturarlo più facilmente, come è poi avvenuto
e loro si sarebbero impossessati del potere autonomista.
Come avevo
già detto, abitavamo in quella porzione di fabbricato che, magnanimamente, lo
zio di mio padre ci aveva lasciato, era uno spazio piccolo per un coltivatore
diretto, dovevamo avere una stalla dove mettere il mulo che serviva per
lavorare i campi e tirare il carretto con il quale mio padre portava le merci a
casa o come quando, al tempo della raccolta dei meloni gialli, li portava in
città al mercato, a volte a Trapani e a volte a Marsala, spesso mi portava con
se, si partiva di notte e fino a quando non mi addormentavo, mi faceva ammirare
il cielo stellato, conosceva tutti i nomi delle costellazioni e i punti dove si
trovavano i pianeti, mio padre aveva fatto solo fino alla terza elementare,
sapeva solo fare i conti, leggere e scrivere, eppure era colto, forse di quella
cultura contadina, tramandata da padre in figlio, sapeva fare tutto, dai
lavoretti manuali, come fare le borse con le foglie di palme, i cesti con le
canne che tagliava a strisce intrecciate con i rametti morbidi dell’ulivo, o le
scope che intrecciava con una palmetta nana, o le cordicelle che servivano a
legare i mazzi di grano quando era tempo di mietitura, che ricavava dalle
foglie di agave tagliate a strisce e fatte essiccare al sole, era bravo anche a
praticare gli innesti alle piante, specialmente alla vite e per questo era
molto richiesto nella zona, ricordo che mi insegnava, io ancora giovane, a fare
questi innesti, (lo pratico ancora nel mio giardino) e a Lui non importava se
solo la metà attecchivano, importante era che tramandasse a suo figlio il suo
sapere.
Come ho
detto, la nostra casa non aveva spazi abbastanza, ma usufruivamo di alcune
stanze contigue a noi, e di un pezzetto di terra dietro la casa, un tempo
appartenevano a mio nonno ed erano state cedute a quella famiglia di
latifondisti, i fratelli Salvo, che avevano schierati i cannoni, ebbene questi
stranamente, forse per qualche patto non scritto con mio nonno, lasciavano a
noi l’uso, solo dietro qualche compenso in natura tipo: le mandorle alla loro
raccolta o qualche carciofo dalla carciofaia che mio padre aveva impiantato, il
tutto in maniera simbolica, come a dimostrare che i proprietari erano loro, io
però ho sempre considerato quel pezzo di terra mio, ricordo che mio padre mi
mandava a portare un paio di volte all’anno quelle cose, il saluto che si dava
ai signori allora in Sicilia era: “Voscienza Binirica”, ma io li salutavo
semplicemente “Buongiorno”, già allora non ero incline ad assoggettarmi a certe
usanze arcaiche, i tempi erano cambiati certo e vi porto un esempio: noi
eravamo 5 figli, mio fratello Angelo, Salvatore e Giacomina ai genitori davano
del Voi, mia sorella Francesca ed io che eravamo nati dopo, davamo del Tu, e
questo senza che i miei genitori avessero interferito, era semplicemente
cambiata un’era.
Ricordo
ancora il mio primo giorno di scuola, era la prima volta che lasciavo la mia
casa, mi ha accompagnato mia sorella Giacomina e, quando sono rimasto solo in
aula con il Maestro, si chiamava Martinico, e i miei compagni, ho avuto un attimo di panico, poi mi
sono abituato, in fondo mi piaceva imparare cose nuove, le scuole non avevano
tutte le classi nello stesso edificio, la prima era in una casa distante dalla
nostra e andavamo a piedi, un mio compagno abitava nello stesso “baglio”, si
chiamava Antonino era nato ad Adis Abeba, suo padre era andato in Etiopia per
la guerra di conquista e, dopo che era diventata colonia italiana si era
fermato lì come colono, dove aveva un’azienda agricola che ha dovuto lasciare
nel 1945, dopo che gli inglesi avevano occupato il territorio, il padre lo
avevano fatto prigioniero e la madre con il mio amico Nino li avevano spediti
in Italia a casa dei nonni. Il nonno di Nino era stato uno dei pochi militari
che avendo fatto la prima guerra mondiale era riuscito a tornare a sano e
salvo, spesso a noi bambini, raccontava
tutto quello che aveva passato in guerra, erano solo miserie e stenti, fango
delle trincee e morti, mai che ci abbia raccontato un fatto di eroismo, gli
eroismi sono solo sui libri di storia dei vincitori e, anche quando una guerra
si vince come quella del 1915/1918, i vincitori sono solo i generali, i soldati
hanno dato solo il loro sangue. Antonino era un pò gracile di salute, io lo
avevo preso sotto la mia protezione, ricordo che durante un ritorno da scuola, una banda di ragazzacci si
divertivano a farci i dispetti, io ero un po’ più alto di Lui, ci stavano
picchiando, non so come, (ho sempre aborrito la violenza) nel difendermi, ho
fatto male ad uno di loro, un graffio sotto l’occhio destro, nel vedere il
sangue quelli sono scappati e da quella volta, non ci hanno più importunati e
ci rispettavano.
La mia
adolescenza è passata così, ricordo la morte dell’unica nonna che ho
conosciuto, la mamma di mia madre, Francesca che se ne è andata nel 1952, ha fatto appena in
tempo di vedere per l’ultima volta sua figlia Marietta che era venuta in Italia
dagli Stati Uniti nel 51 assieme a suo marito che poi era il fratello di mio
padre, li ricordo benissimo, sono arrivati in Sicilia in nave dopo 11 giorni di
navigazione, erano pieni di bagagli, hanno portato di tutto, anche alimenti ,
ricordo grosse scatole di formaggio fuso che sapeva di formaggini, e poi tanti
vestiti colorati per tutti.
Vi ho già detto della mia partenza per il nord e del
periodo che abitavo in casa di mio fratello Salvatore, siamo in maggio del
1962, una sera che ero solo e non sapevo cosa fare, vado in un locale dove si
ballava e incontro vostra nonna Luciana.
Già, Luciana,
36 anni e cinque mesi assieme, dal 13 maggio 1962 al 27 novembre 1998.
Il 13 maggio
62 era una domenica, mi ero stufato di scorrazzare per le balere della
provincia, assieme al mio amico con il quale prendevamo a nolo una macchina, io
avevo la patente ma non la macchina, Lui neanche la patente (ora è un dirigente
della FIAT di Torino), la domenica si andava nel corso principale di un paese,
si caricavano due ragazze e si portavano a ballare in qualche balera o in casa
di qualcuno che organizzava una festa, allora si andava in balera al pomeriggio
e poi anche alla sera, alla sera naturalmente si cambiava ragazze, al
pomeriggio le più giovani (ricordo che una sera quando le abbiamo riportate sul
corso del paese, la mamma di una di queste era ad attenderla e l’ha presa ad
ombrellate in testa) e alla sera le più smaliziate che avevano il permesso di
stare fuori fino a mezzanotte, allora i locali da ballo chiudevano al massimo
all’una. Quella domenica avevo deciso di non andare con la solita compagnia, ho
già detto che mi ero stufato, non era per me , preferivo una vita tranquilla,
presi la mia vespa e andai in castello a Brescia in un locale dove si ballava,
si chiama IL Pincio, esiste ancora, ero seduto ad un tavolino da solo, poco
distante, ad un altro tavolo, c’erano due ragazzi con una ragazza che però
lasciavano da sola per ballare con altre ragazze, il fatto mi pareva strano,
presi coraggio superando la mia timidezza (timido lo sono sempre stato) e la
invitai a ballare, ricordo che era un lento (ho scoperto dopo che anche Lei
sapeva ballare solo i lenti) e forse anche per quello accettò: non ci siamo più
lasciati, abbiamo ballato tutta la sera, ad un certo punto la invitai a bere
una bibita al bar, Lei era davanti a me mentre salivamo una scaletta,
istintivamente mise una mano dietro la schiena ed incontrò la mia che la
cercava , quello fu il gesto che ci unì per tutta la vita.
Già, tutta
la vita, la sua si interruppe quel 27 novembre 98, era stato anche il giorno
della sua nascita 58 anni prima, io feci di tutto per impedire che mi
lasciasse, imprecai, corsi come un matto da un dottore all’altro, pregai Dio
anche, io che non sono un fervido credente, feci un patto con Lui, avevamo un
Crocifisso in legno stilizzato al capezzale e la notte mentre Lei dormiva
imbottita di antidolorifici e sonniferi, io piangevo e pregavo, il patto era
che avrei dato la metà degli anni che mi restavano di vita a Lei, perché
finissimo i nostri giorni insieme, ma non mi ascoltava, erano gli ultimi
giorni, capii che non c’era più niente da fare quel giorno che le avevo
preparato una tazza di latte con dei biscotti e cercavo di imboccarla, Lei si
sforzava di mangiare, non ha mai ceduto un istante di sperare di farcela a
rimettersi, era già successo altre due volte che si era rimessa dopo certe cure
di chemioterapia, ma quella volta metteva il cibo in bocca ma non riusciva a
mandarlo giù, mi ritrovai a constatare che erano più le mie lacrime che
finivano nella tazza che il latte che riusciva a mandare giù Lei. Quella notte
stessa entrò in coma epatico, sapevo che era la fine, mi arrabbiai con il
Crocefisso stilizzato, dissi che lo avrei distrutto, giurai che lo avrei
bruciato nel camino in fondo all’orto e l’avrei fatto se non fosse successa una
cosa che allora pensai strana : l’indomani mattina presto venne Don Gianni il
nostro prete che è anche un loro lontano parente per darle l’Estrema Unzione e
si mise ad osservare quel Crocefisso chiedendo come mai lo avevamo noi dove lo
aveva trovato che era bello ecc. Nei due giorni successivi non pensai più al
Crocefisso, la sera del 27 alle 18,30 la mia Luciana cessava di vivere, io le
tenevo la mano sinistra, Paola la mano destra, Marina le teneva la testa e mia
cognata Liliana ci consolava dicendoci che finiva di soffrire, un respiro più
breve, poi ne salta uno e poi, l’ultimo.
In chiesa
al funerale il prete tira fuori ancora il discorso del Crocefisso dice, che
anche Lui ha sofferto in croce come ha sofferto la mia Luciana e ne ha parlato
almeno per mezzora. Quel pomeriggio in macchina mentre accompagnavamo Lei al
cimitero dissi a Paola che appena tornavamo a casa doveva portare il Crocefisso
al prete spiegandogli tutto, cosa che Lei ha fatto e il Crocefisso e rimasto
appeso sopra un’Acquasantiera nella chiesa fino a quando don Gianni è andato in
pensione e spero che se lo sia portato con se, perché adesso in chiesa non c’è
più. In quel momento pensavo che qualcosa di Divino aveva fermato la mia mano
che stava per bruciarlo, tramite il prete, adesso penso, molto più
semplicemente che al prete quel Crocefisso piaceva perché era artisticamente bello.
Ecco
ragazzi, questa è la mia storia, avrei
potuto raccontarvi qualche altro episodio, ma mi fermo qui, anzi qui si ferma
la storia dei discendenti DI-GIOVANNI, almeno dal ramo del Vostro bisnonno
Giuseppe ed è curioso che a proporla sia stato io, Vostro nonno Francesco, che
è stato l’ultimo ad avere questo cognome, infatti anche mio fratello Salvatore
non Ha avuto figli maschi e le vostre madri sono le ultime ad avere questo
cognome, mi dispiace ragazze e ragazzo ma, siete finiti in un ramo secco di
questo albero genealogico, infatti portate un cognome diverso, il resto lo
conoscono anche le vostre madri che possono raccontarvelo, io sarei stato
felicissimo se mio nonno avesse scritto le sue memorie, ora avendole lette
saprei qualcosa in più sulle origini della mia famiglia e avrei potuto risalire
almeno fino al 1600.