martedì 13 maggio 2025

                               A SILVANA 

Esattamente 24 anni fa cominciava la nostra storia, c'è mancato poco che tutto si fermasse sul nascere, ero confuso e non volevo approfittarmi della gentilezza con la quale avevi accettato la mia compagnia, avevo paura di illuderti, di farti del male.

Ma tu sei stata brava a trattare la situazione, mi hai detto: dai vediamoci ancora un pò, una volta o due alla settimana, non pretendo niente di più, poi vedremo. 

Fu la mia fortuna, giorno dopo giorno mi sono affezionato a te, per la tua semplicità, il tuo modo di pensare, il non essere mai invasiva, il rispettare la mia persona, il condividere la mia voglia di viaggiare, l'esserti attaccata alle mie figlie come fossero tue. Poi pian piano, giorno dopo giorno, quell'affetto si tramutava in amore, aspettavo con ansia il fine settimana, sentivo sempre più il bisogno averti accanto, tutt'ora metto il tuo cuscino al mio fianco nel letto in cui dormiamo quando sei con me, mi da sicurezza, nonostante gli anni che mi porto addosso, mi sento ringiovanire si, mi sto sempre di più innamorando di te.

giovedì 8 maggio 2025

                   A PAOLA

Era il ventisei ottobre settantuno
e il tuo visino si affacciava al mondo
fosti voluta e, mai una decisione,
fu così saggia dall'averti avuto.

Tu le somigli, anche se diversa
I tuoi capelli, non rossi come i suoi
gli scatti d'ira, quelli sono uguali
sempre a ragione, sempre a fin di bene.

Le tue telefonate giornaliere
mi fanno bene, sono un toccasana
senza di quelle, sarei ancor più solo
i miei pensieri andrebbero lontano.

La tua famiglia, si vivace e bella
tienila unità con l'amor di mamma
sii ancor più dolce, abbi ancor pazienza
che certo loro contracambieranno.

         I PENSIERI DI UN OTTANTENNE

I miei dieci anni sono stati quelli dell'ignoto, vedevo il mondo davanti a me che mi aspettava, ma non vedevo vie d'uscita, niente che mi indicava una via da percorrere, venivo da un mondo che viveva ancora di usanze medievali, in casa si cenava ancora alla luce di una candela ad olio lampante, niente elettricità.

Poi arrivarono i vent'anni, una strada l'avevo trovata, era una strada ferrata, solo un treno riuscì a strapparmi dal mondo arcaico vissuto fino ad allora, le mie prime letture, spinte dalla mia curiosità di conoscenza, mi portavano a scoprire il mondo, erano già i famosi anni sessanta, da lì a poco ci sarebbe stato il "sessantotto" e io mi ci tuffai con tutti gli entusiasmi di un ventenne.

  I trent'anni arrivarono in fretta, avevo trovato l'amore e, con una splendida creatura avevo messo su famiglia, proprio il sessantotto mi aveva portato in dono la prima figlia, il lavoro mi aveva introdotto in una società finalmente moderna e tutto il mio impegno fu per esso e la famiglia.

A quaranta anni mi sono sentito finalmente adulto, era già nata la mia seconda figlia, il lavoro e la vita familiare andava benissimo e molto tempo libero lo dedicavo, anche manualmente, alla costruzione della nuova abitazione.

Arrivato a cinquant'anni, nel giorno dei festeggiamenti in famiglia, annunciai che non avrei più compiuto anni, volevo fermare il tempo, ormai avevo tutto e volevo restare a cinquanta, cominciarono i primi viaggi per il mondo, ora quello volevo scoprire, le figlie erano già adulte, non venivano piu volentiere in vacanza con noi, ho detto loro: bene, voi andate dove volete e io e la mamma facciamo le vacanze da soli.

A sessant'anni fu la svolta triste della mia vita, due anni prima avevo perso l'amata compagna di vita, il male del secolo me l'aveva portata via dopo otto anni di lotte e terapie inutili, le sue ultime parole erano state: ora cosa farai senza di me, sei ancora giovane, vivi ancora la tua vita, fallo anche per me. E io sopravvissi, feci il primo viaggio senza di Lei con un amico, una mattina all'alba ero in una spiaggia della Tunisia, camminavo da solo con i miei pensieri, ad un tratto davanti a me vidi una coppia di anziani che camminavano sulla spiaggia tenendosi per mano, il mio pensiero era andato a Lei, perché non mi fu concesso d'invecchiare assieme? Mi sedetti su uno scoglio e piansi per almeno un'ora versando tutte le lacrime che fin'ora avevo trattenuto, tornai in albergo dove il mio amico mi aspettava preoccupato, piansi anche davanti a Lui e quel pianto liberatorio forse mi riportò in vita.

Poi arrivarono i settanta, qualche anno prima avevo incontrato il mio secondo angelo custode, una donna di qualche anno meno di me che aveva saputo comprendere il mio stato d'animo, mai un screzio con Lei, aveva fatto breccia anche nel cuore delle mie due figlie e le aveva subito amate come fossero sue, nel frattempo erano arrivati anche i miei tre nipoti, due ragazze e un ragazzo. Con la nuova compagna di vita avevamo ripreso a viaggiare per il mondo, Asia Europa, Americhe, Africa, usando aerei e navi da crociera, visitando centinaia di luoghi e città del mondo e conoscendo genti dalle diverse etnie.

Arrivato a ottant'anni, con pochi acciacchi e un cervello ancora in ordine, fatico a pensare che sono un vecchio signore, soddisfatto si della vita, ma con un pensiero fisso, arriverò a novant'anni?

lunedì 9 settembre 2019

ODIO I RAGAZZI

Si, li odio,
odio i ragazzi che si amano,
li odio quando si abbracciano,
quando si tengono per mano,
quando si baciano incuranti della gente.
Li odio quando tornano a casa sapendo di essere soli,
li odio quando fanno all'amore,
si, li odio, no anzi li invidio.
Si, li invidio.

mercoledì 3 maggio 2017

IL VIAGGIO DI COCA

           IL VIAGGIO DI COCA

Coca quel pomeriggio di fine primavera se ne stava buona in una scaffale di supermercato, era al fresco e per questo fu scelta dal giovane escursionista che stava per intraprendere una gita in montagna assieme a degli amici, prese con se Coca e si avventurò per il sentiero di montagna, strada facendo gli venne sete e prese Coca dallo zainetto, apri il tappo rosso che fungeva da copricapo e la bevve tutta d'un fiato, per abitudine rimise il tappo al suo posto e la richiuse bene, in città certo l'avrebbe gettata in un cestino per la raccolta differenziata e Coca sarebbe finita in un forno, fusa assieme ad altre bottigliette di plastica, per fare altri oggetti, ma così non fu.
 Antonio, che aveva seguito la scena, si accorse che al ragazzo era sfuggita di mano la bottiglietta, Coca era finita nel prato adiacente, una folata di vento l'aveva fatta volare lontano e il suo cane Black vedendola volare si era messo a rincorrerla credendo fosse un gioco, invano Antonio lo chiamò, ma lui ostinatamente seguiva Coca, non gli restava che rincorrere il cane e mettergli il guinzaglio per farlo tornare sui suoi passi, vicino c'era un ruscelletto e Coca vi finì dentro, la corrente era sostenuta e si allontanava velocemente, Black a quel punto si fermò e Antonio gli mise il guinzaglio per riportarlo a casa.
 La cosa certo sarebbe finita li, ma la notte Antonio fece uno strano sogno, rivide Coca che galleggiava nella corrente del ruscello e scendeva ripidamente verso valle, dopo un salto di una decina di metri il ruscello si gettava nel fiume formando una schiumosa cascatella, Coca vi finì dentro e per un po scomparve alla vista di Antonio, si avvicinò alla sponda del fiume per vedere, ma niente, Coca sembrava essere stata inghiottita dall'acqua, rimase un attimo a guardare e all'improvviso vide la testolina rossa affiorare in superficie, era lei, Coca, in ragazzo per fortuna aveva avvitato bene il tappo e, piena d'aria, galleggiava che era una bellezza. Per un attimo si fermò in un gorgo, poi spinta da un tronchetto galleggiante si allontanò seguendo la corrente verso valle.
 I sogni son duri a morire, a volte la mattina si dimenticano, ma ad Antonio la storia della bottiglietta piaceva, avrebbe voluto risognarla, ma era quasi impossibile che succedesse, non gli restava che seguirla con il pensiero e l'immaginazione.
 Ora la vedeva li, qualche chilometro a valle che galleggiava felice verso il mare, aveva piovuto e la corrente era impetuosa, ora c'era una cascatella, Coca cadeva giù e andava a fondo, riemergeva ma la risacca la riportava indietro sotto la cascata, si immergeva di nuovo e la risacca la riportava indietro, era stata li per giorni, forse una settimana, sempre lo stesso giro, fino a quando un ramo cadendo anche lui nella cascata non la travolse e se la trascinò con se, ma lei era più agile e si allontano più velocemente verso il suo destino.
 Un giorno Antonio camminando lungo il fiume, che nel frattempo, essendo già estate inoltrata, aveva diminuito la sua potenza, vide che in un'ansa si erano fermate detriti di ogni genere, erano immobili, puzzolenti chissà quando la corrente li avrebbe trascinati via, certo bisognava aspettare le piogge autunnali. Antonio pensò alla sua bottiglietta viaggiante, ora magari era ferma in un posto simile, in mezzo al marciume, ma lei era forte, nulla poteva nuocerle, era fatta di una sostanza inattaccabile dagli agenti atmosferici, dalle muffe, da batteri, da enzimi vari, solo il fuoco poteva trasformarla in un'altra materia, ma era in acqua, quindi salva.

 Certamente passarono alcuni mesi in quella posizione, poi arrivarono le piogge autunnali e il fiume comincio a scorrere ancora verso il mare, Antonio la vedeva correre, passare sotto i ponti delle ferrovie, le autostrade, correre verso il grande fiume, il Po che sonnecchiava tranquillo, certe imbarcazioni la sfioravano, lei si allontanava da loro con leggiadria, col suo cappellino rosso che attraeva gli uccelli, un giorno un gabbiano affamato la prese nel suo becco, era inseguito da un altro che voleva rubargliela e non si accorgeva che non era un pesce, volava in alto, da quella Posizione Coca vedeva la pianura che si estendeva sotto di lei, in lontananza si intravedeva una striscia azzurra, era enorme, certo non era un fiume, era qualcosa di immenso, si trattava del mare Adriatico, in quel momento il gabbiano accortosi che non era commestibile la mollò e cadde vorticosamente trascinata dal vento, ma finì sulla chiome di un albero che costeggiava il fiume e si fermò li, era autunno e solo la caduta delle foglie o una folata di vento l'avrebbe liberata.
 Invece fu la neve che la fece precipitare in acqua, erano passati due mesi e quella mattina di gennaio nevicò a dismisura, il ramo dove si era incagliata col peso della neve rovinò in acqua e coca fu libera di intraprendere il suo viaggio, il fiume era grande e Antonio nella sua immaginazione non la scorgeva più dall'argine, era quasi primavera, il fiume scorreva lentamente, lei ogni tanto si arenava in qualche spiaggetta e fu li che una Folaga in cerca di materiale galleggiante per costruire il suo nido, la prese forse attratta dal suo cappuccio rosso, la mise assieme a pezzetti di legna, foglie, paglia e piume e vi depositò tre belle uova da covare.
 Coca assistette alla nascita dei tre pulcini, per tutto il periodo della cova la folaga non abbandonò mai il nido, il maschio faceva la guardia e se qualche intruso si avvicinava erano guai, trenta giorni di cova e il primo pulcino con piccoli colpi di becco rompe il guscio, nel giro di un paio di giorni erano fuori e col becco aperto aspettavano mamma e papà che si davano il cambio a portare cibo. Coca era intrappolata senza scampo nel nido, assistette al primo salto nell'acqua dei pulcini che si misero a nuotare dietro la mamma, non tornarono più trascinati dalla corrente, rimase sola e intanto era arrivata l'estate e con essa anche la secca del fiume, dovette aspettare le prime piogge e una piena perché il nido venisse distrutto liberandola e riprendendo cosi il suo avventuroso viaggio verso la sua isola.
Dai Coca, muoviti, la navigazione sarà lunga per arrivare alla tua isola, (che poi isola non era, era un grande accumulo di materiale plastico che le correnti marine trascinano in mezzo all'oceano) pensò fra se e se Coca mente si  lasciava cullare a pelo d'acqua dalla corrente del Po, la foce era ormai vicina e se imbroccava il ramo giusto presto sarebbe arrivata in Adriatico, ci vollero parecchi un paio di mesi, e ora era in mare aperto, arrivò il signor inverno e con esso un forte vento di Grecale che soffia da nord ovest, bene pensò coca, se dura questo vento fra pochi giorni sarò nello Ionio, e così fu, le onde erano altissime, ad ogni ondata restava sommersa per ore, ma la tenuta stagna funzionava benissimo e ritornava a galla col suo cappuccio rosso che il ragazzo aveva stretto con forza, la tempesta durò molti giorni tanto che andò a sbattere su una costa frastagliata dell'isola greca di Corfù, l'impatto sulle rocce era forte e durò parecchi giorni, ma la sua solidità di plastica era a prova d'urto, niente poteva distruggerla. Intanto il vento era cambiato, ora soffiava da nord, era la Tramontana che la fece allontanare dalla costa e dirigersi verso sud, ogni tanto incrociava una nave, erano i traghetti che trasportano passeggeri e mezzi fra l'Italia e la Grecia, una volta rischiò di finire stritolata da un'elica ma riuscì per fortuna ad evitarla, ora navigava verso la Sicilia, il vento si era calmato ed era già primavera inoltrata, passato capo Passero finì arenata in una spiaggia nei pressi di Gela, per fortuna non era ancora estate, se no qualche bagno ecologico l'avrebbe raccolta e gettata in un sacco di plastica, ma così non fu, una folata di vento l'aveva trascinata ancora in acqua riprendendo la sua navigazione.

Nel Canale di Sicilia vivono anche balenottere che si spostano, attraverso lo stretto di Gibilterra, fra l'Atlantico e il Mediterraneo dove vanno per partorire i piccoli, un piccolo branco di queste ora era di ritorno nell'oceano, una di queste, scambiando Coca per un gambero, l'aveva inghiottita e ora Coca se ne stava nello stomaco della balena, per fortuna sono indigeribile pensò Coca, sapeva della storia di Pinocchio inghiottito da una balena, se ce l'ha fatta lui che era di legno, figuriamoci io che sono di plastica e quindi indistruttibile, certo qualche problemino la balenottera l'aveva avuto, ma Coca se ne stava tranquilla in un anfratto dello stomaco e aspettava con pazienza il giorno della sua fuoruscita assieme alle feci. Intanto la balenottera navigava verso lo stretto, ci impiegò diversi giorni ma ce la fece, ma Coca era ancora nello stomaco e viaggiava spedita verso i Caraibi dove era diretta la balena in cerca di acque calde, Coca penso di darsi una mossa, era stufa di stare li dentro, la mossa ebbe successo e Coca si ritrovò in acqua assieme a decine di kg di feci puzzolenti, si dette una scrollata e trasportata dalla corrente finì spiaggiata vicino ad una raffineria di petrolio non lontano dalla capitale L'Avana.


Guarda che incivili questi americani, penso il marinaio norvegese che passeggiava sulla spiaggetta adiacente il porto petrolifero, era arrivato il giorno prima con la petroliera che ora stava caricando il greggio, lui era imbarcato sulla nave come addetto alle apparecchiature elettroniche e aveva il giorno libero, aveva visto la bottiglietta sulla spiaggia e questo gli aveva dato fastidio, in Norvegia questo non sarebbe accaduto pensò, nel mio Paese si fa una stretta raccolta differenziata, ora che Gli USA avevano stretto rapporti commerciali con Cuba dopo oltre cinquant'anni di isolamento, si sono messi a sporcare le spiagge cubane, raccolse Coca e guardo bene il tappo rosso, era curioso sapere dove era stata prodotta, così pensò di poter risalire al maleducato che l'aveva gettata in mare, non si riusciva bene a leggere le sigle sul tappo, la mise nel suo zainetto e se la portò in cabina. 

Finito il pompaggio di greggio e chiuse tutte le paratie, la petroliera lasciò il porto cubano e si diresse verso il canale di Panama, infatti doveva attraversarlo per poi dirigersi in Giappone dove era stato destinato il carico, ci volevano un paio di giorni a raggiungerlo e altre 12 ore per attraversalo, Coca era finita incredula in un cassetto dell'armadietto del marinaio, preso dall'impegno della navigazione l'aveva quasi dimenticata, poi durante l'attraversamento del canale, approfittando del fatto che devono essere gli addetti al canale incaricati alla navigazione, il marinaio si ricordò di Coca, svitò il tappo rosso e si mise alla ricerca della sigla di provenienza, si leggeva poco, notò in fondo una sigla HEC e gli ultimi numeri 835, allora si mise al computer e cerco dove erano gli stabilimenti di imbottigliamento nel mondo, HEC era la sigla per quelli italiani, gli ultimi numeri non potevano che essere lo stabilimento di produzione, era Nogara, quindi il marinaio pensò che la bottiglietta fosse stata abbandonata in una di quelle valli o gettata in un fiume che le percorre, i fiumi era l'Adige, il Chiese, il Mella o l'Oglio, tirò ad indovinare e scelse quello al centro, non poteva che essere stata abbandonata nella Valle Trompia, a quel punto si fermò li, mise Coca ancora nel cassetto e sali nella cabina di comando perché la nave si accingeva a entrare nell'oceano Pacifico.

Coca rimase chiusa nel cassetto per almeno 15 giorni, poi il marinaio si accorse di lei e pensò: che ne faccio? la rimando da dove è venuta? mando un messaggio a chi la ritrova? o la butto nell' immondizia e quando arrivo in Giappone verrà riciclata?, scelse per il messaggio, voleva far sapere al mondo che era ora di finirla con la plastica errante, allora scrisse un messaggio con questo testo: Chiunque ritrova questo messaggio è pregato di fare in modo che questa bottiglietta venga rispedita in Val Trompia con la preghiera di affiggere il messaggio in una bacheca comunale ove tutti possono leggerla e cosi fare in modo che nessuno butti al vento involucri di plastica. Chiuse bene il tappo e gettò in pieno oceano Pacifico Coca. A questo punto Coca il suo cammino lo aveva già percorso quasi tutto, bastava lasciarsi trasportare dalle correnti che dalle isole Hawaii porta verso il nord fino al largo del Canada creando un vortice che gira fino all'Alaska, Cina e Giappone, ci vollero mesi o anni, ma Coca ora è intrappolata in mezzo a quell'Isola di Plastica, chiunque la trovasse, legga il messaggio scritto dal marinaio norvegese e porti Coca dal suo proprietario in Val Trompia.
F.D.G.


 
                                

mercoledì 28 dicembre 2016

A Marina


 

Anno da ricordare il sessantotto
son quarantanni, eppure sembra ieri
Tu ti affacciavi, al mondo speranzoso
di cambiar modo, vivere le genti.

Quel dì di marzo, era il giorno venti
e l’indomani era primavera
non per i fior sbocciati quel mattino
ma per la gioia averti generato.

Tua madre sì, Lei ti voleva bene
ricordo ancora, quando Tu tardavi
Lei alla finestra, senza mai dormire
rimproverare d’essermi assopito.

Ora Lei è là, ma ti segue ancora
e ti protegge come una bambina
solo una madre può donare tutto
un padre, ormai, può solo ricordare.

venerdì 13 novembre 2015

Olmo e betulla

        OLMO E BETULLA                                                                              


  Olmo e Betulla si erano conosciuti da piccoli, l’età di noi umani quando andiamo per la prima volta all'asilo e non abbiamo ancora radici abbastanza solide conficcate su questa benedetta nostra terra.
  Li aveva fatti incontrare Giuseppe, il giardiniere della villa comunale del paese, vicino c’era un vecchio edificio abbandonato che un tempo era stata una filanda, il sindaco era riuscito ad espropriarla per allargare la villa e farne un parco giochi per i bambini del paese che nel frattempo si era allargato a dismisura.
  L’edificio era stato abbattuto e avevano salvato solo la ruota che si immergeva nel ruscello che passava di fianco alla fabbrica e che serviva per far girare gli ingranaggi delle macchine della filanda, questo era un sistema molto usato fin  dall'antichità, quando non avevano ancora inventato il motore a scoppio e l’elettricità.
  Giuseppe era stato incaricato di sistemare il terreno che si era liberato dai ruderi della casa e, proprio vicino alla ruota, (che nel frattempo avevano restaurato con l’intenzione di farla funzionare ancora, per far vedere ai bambini come si faceva a produrre energia dall'acqua, collegando gli ingranaggi ad una giostra) aveva pensato di piantare due alberi che crescendo, con la loro chioma, avrebbero fatto ombra alla giostra e aveva scelto Olmo e Betulla quando era andato dal vivaista.
  Olmo e Betulla, erano nati una mattina di primavera di tre anni prima, a dire il vero non erano nati lo stesso giorno, il vivaista non si era accorto, ma assieme ai semi di olmo si era intrufolato quel semino di betulla, chissà, forse portata dal vento o forse era stato il destino, fatto sta che, dopo alcuni giorni dalla nascita di  Olmo, il vivaista stava già togliendo il vasetto per sostituirlo, visto che tutti gli altri semi erano germogliati, ma nel muoverlo, la terra si scostò un pochino e Betulla apparve con la sua prima fogliolina, non si accorse che era diversa, perché le prime foglioline sono quasi tutte uguali nelle specie vegetali, quindi lasciò il vasetto al suo posto che era di fianco ad Olmo e lì crebbero insieme, fogliolina dopo fogliolina, in mezzo ad altri vasetti, a dire il vero Olmo dopo il primo anno, si era accorto della differenza delle foglie di Betulla e proprio per questo si era affezionato a Lei  più di tutte le altre piantine, era più esile e proprio per questo incuteva più tenerezza, l’aveva presa sotto la sua protezione, quando d’inverno soffiava il maestrale alla sua destra, con la sua piccola chioma cercava di proteggere Betulla che era alla sua sinistra o, l’estate quando il vivaista apriva il rubinetto per l’irrigazione a pioggia, Olmo si spostava un po’ per far arrivare le prime gocce d’acqua a Betulla per rinfrescarsi dopo un giorno di sole. Betulla si era accorta delle attenzione di Olmo e, ogni tanto, senza farsi accorgere, approfittando di qualche leggera brezza di vento, una sua fogliolina andava ad accarezzare un rametto di Olmo.
  Qui il destino per forza deve averci messo la mano, altrimenti Giuseppe come avrebbe fatto a scegliere proprio loro due? O  forse pensò di stupire i ragazzi che avrebbero frequentato la giostra, facendo crescere questi due alberi, leggermente diversi, a dimostrare che, anche se diversi si può crescere insieme in armonia dividendo lo stesso spazio, respirando la stessa aria, dividendo lo stesso cibo e bevendo la stessa acqua? Ecco, deve essere stato questo il motivo principale che ha spinto Giuseppe a sceglierli, infatti, scelse i due vasetti con Olmo e Betulla. Lei, quando Giuseppe prese per primo Olmo, per portarlo in macchina, si sentì disperata: e se non avesse preso anche Lei? Cosa avrebbe fatto  senza  di Lui? Invece lo vide avvicinarsi, chinarsi verso di Lei e sollevarla di scatto facendo ondeggiare le sue foglie, come capelli al vento di primavera, adesso era felice davvero.
  Lo spiazzo vicino alla ruota era grande, Giuseppe fece una sola buca nel terreno, abbastanza grande da farli stare assieme, ad una distanza di meno di un metro uno dall'altra, li sistemò per bene, mise del concime mescolato alla terra, innaffiò bene in modo che non avessero sofferto per il trapianto e tornò a casa.
  Adesso erano rimasti soli, fianco a fianco, non potevano far finta di ignorarsi come quando erano in mezzo a tutti gli altri, anche se nello spiazzo sembravano piccoli, erano cresciuti, adesso erano alti più di un metro, fu come se una brezza venisse da tramontana  e un’altra spirasse dalla parte opposta  di scirocco, le loro chiome si toccarono e, quello fu il primo vero contatto.
 
  Passarono i mesi e gli anni, adesso il parco era finito, la giostra l’avevano collegata alla ruota e, di domenica, Giuseppe apriva la chiusa che immetteva l’acqua nel canale che passava sotto la ruota, facendola girare dolcemente e, con essa girava la giostra che si riempiva di bambini, Olmo e Betulla erano felici, adesso erano grandi abbastanza, i loro rami cominciavano a sfiorarsi anche in assenza di vento, avevano ancora due chiome distinte una dall'altra, era estate inoltrata e i loro rami per quest’anno non sarebbero più cresciuti ma, la prossima primavera avrebbero dovuto decidere dove far crescere nuovi rami, lo spazio era quello che era e poi erano stati messi lì proprio per dividersi quello spazio.
  Ora era tornato l’inverno, era arrivata la prima neve e quella notte ne venne parecchia, arrivava quasi a coprire le panchine di legno dove nei giorni di sole venivano i bambini con i loro nonni, la giostra era chiusa con un tendone e si vedeva solo la cupola che aveva formato la neve come a proteggerla, Olmo e Betulla videro che anche sopra di loro di era formata come una cupola con la neve e si sentirono come protetti, come se stessero sotto lo stesso tetto.
  Quando arrivò la primavera e i primi germogli arano lì  per spuntare si accorsero che dove erano a fianco a fianco, non c’era più posto per altri germogli, erano abbastanza alti da vedere sotto di loro la cupola della giostra, e ad un tratto si ricordarono della neve che aveva formato un solo tetto sopra di loro e questo era stato anche utile, si erano sentiti protetti e pensarono: perché non creare una sola chioma come la cupola della giostra? Si sarebbero protetti dal sole nei giorni di calura, dalla pioggia quando pioveva per giorni interi, dalla neve come l’inverno scorso, ma come fare? Non c’era che un modo per farlo: ognuno dei due, doveva rinunciare a metà dello spazio a loro disposizione, non fu difficile realizzare questo, stavano crescendo assieme, bastava non emettere germogli nella parte in comune e rinforzare la parte esterna in modo da creare un ombrello ancora più grande.
   Adesso che sono passati parecchi anni dalla costruzione del parco giochi, i bambini di allora sono cresciuti, sono diventati nonni a loro volta e portano i loro nipotini sulla giostra che instancabile gira trainata dalla forza dell’acqua. Uno di loro si sofferma a guardare quello strano albero con due tronchi ed un sola chioma bicolore che è la meraviglia di tutto il paese, loro non sanno come sia potuto accadere, ma Lui sì e, lo spiega alla sua nipotina che si affaccia ora alla vita. Lui  ha visto crescere quello strano albero, Lui sa che ognuno dei due alberelli ha dovuto cedere metà spazio all'altro ed è stato possibile solo perché sono cresciuti assieme, anno dopo anno, ramo dopo ramo, foglia dopo foglia e, sa benissimo che se per caso uno dei due dovesse morire, l’altro non sopravvivrebbe.
F.D.G.